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Loudness nel mastering – parte 2

Prosegue dalla 1° parte: https://www.alessandrofois.com/loudness-nel-mastering-parte-1-dinamica/


Per evitare il sopravvento del rumore di fondo e di altri disturbi insiti nei supporti di registrazione (ad esempio il fruscio dei nastri analogici) si è cercato:

  • di tenere il picco massimo della registrazione ad un livello il più elevato possibile, ma al di sotto del punto di distorsione
  • di comprimere lo “spazio dinamico utile” in una fascia relativamente ristretta, capace di riprodurre una gamma dinamica funzionale ai vari tipi di utilizzo ma sufficientemente ampia al fine di riprodurre dignitosamente l’espressività dinamica della musica

Negli anni successivi, in particolare nell’ambito del pop, l’industria di produzione ha gradualmente ridotto lo spazio dinamico, comprimendo sempre di più al fine di incrementare il volume dei momenti più bassi delle dinamiche esecutive, sino a ridurre a pochi db lo spazio dinamico utilizzato.

Come vedremo, il fenomeno ha subito una grave accelerazione con l’avvento dei supporti digitali.

Nel corso di circa 20 anni (dagli anni 90 agli anni 10 del terzo millennio), la necessità di comprimere la musica per garantire una sua più comoda fruizione si è gradualmente trasformata in una corsa sfrenata al Volume percepibile.

La finalità, incentivata dai produttori, era quella di superare “a suon di loudness” l’impatto sonoro delle produzioni musicali concorrenti, il che ha scatenato una vera e propria Guerra del Volume, definita appunto “Loudness War”.

Loudness war

Il termine loudness war si riferisce quindi alla tendenza dell’industria musicale, alimentata da artisti e produttori, a produrre e pubblicare musica utilizzando alti livelli di loudness, divenuti anno dopo anno sempre più elevati, nel tentativo continuo di superare in volume le produzioni edite dagli artisti e dalle etichette discografiche “concorrenti”.

L’introduzione dei processori di segnali digitali e di limitatori di migliore qualità e di estrema precisione ha consentito ai fonici di aumentare significativamente il volume percepito in una registrazione; e poiché “più forte” era generalmente percepito dagli utenti come “migliore”, i sound engineer, a causa delle “pressioni” dei produttori, hanno cercato di “spingere” il volume sino al massimo limite possibile, il che ha portato il mondo discografico alla guerra del volume.

Molti operatori musicali, soprattutto fonici e artisti, ritengono che questa tendenza abbia determinato il sacrificio della qualità del suono e della espressione dinamica per l’ottenimento di livelli elevati di volume nel supporto audio.

Qui sopra le forme d’onda di un brano edito nel 1980 e più volte rimasterizzato nelle edizioni dei successivi anni, con tendenza all’aumento del loudness nel 2001 sino all’apice della loudness war, nel 2005, per poi ritornare ad una intensità elevata ma più moderata nel 2011.

L’era analogica

Tale procedura non era utilizzata prima dell’avvento del digitale, anche a causa dei limiti fisici insiti nel sistema di incisione meccanica del vinile.

Per la verità anche col vinile capitava che alcuni dischi suonassero più forti, secondo le dinamiche naturali dei vari generi musicali e grazie alle differenti tecniche di mastering allora in uso, ma ogni disco era “un’isola a sé”, e l’unica esigenza percepita era quella di: 

  • garantire che tutti i brani del medesimo album avessero volume proporzionato tra loro, stando all’interno di uno spazio dinamico superiore al livello del rumore di fondo, senza mai distorcere nei picchi più elevati e facendo in modo che tale spazio dinamico risultasse sufficientemente ampio per un’espressione dinamico-musicale corretta.

Nel caso di produzioni di dischi “compilation” (con brani già editi tratti da album differenti e talvolta anche realizzati da artisti differenti), veniva spesso effettuato un remastering, al fine di livellare il volume e l’equilibrio tonale percepibile durante l’ascolto dei vari brani, al fine di determinare una maggiore “omogeneità” tra i contenuti del disco.

Nell’era analogica, chi desiderava ascoltare “più forte” semplicemente poteva sollevare il volume dell’amplificazione del proprio sistema di riproduzione, aggiustando il volume di ascolto ad ogni cambio di disco sul giradischi, in modo da adeguarlo alle proprie esigenze di ascolto del momento.

L’unico limite era determinato dalla potenza dell’amplificazione e dalla resistenza meccanica degli altoparlanti del sistema di riproduzione.

Con l’avvento delle audio-cassette, il criterio d’uso da parte degli utenti non si modificò sostanzialmente, lasciando ancora alla manopola del volume del singolo utente finale il compito di livellare l’intensità sonora, secondo le preferenze dell’ascoltatore.

L’era digitale

Per un certo periodo, per consuetudine, anche l’ascolto dei CD fu caratterizzato sostanzialmente dalle stesse procedure di ascolto da parte degli utenti, e tale routine proseguì per buona parte degli anni 80, che è stata una decade caratterizzata comunque da un sensibile incremento del loudness, ma progressivo e moderato.

La “Guerra del Volume” vera e propria parrebbe cominciare negli anni 90, con la diffusione dei lettori multipli di compact disc montanti nelle automobili, che permettevano di passare da un brano all’altro “saltando” anche da un Cd all’altro; tale modalità d’uso, infatti, evidenziava le differenze di volume tra un disco e l’altro.

Nello specifico, la corsa al volume si accentuò quando i produttori si resero conto che gli utenti possessori dei lettori multipli di cd utilizzavano spesso un criterio di lettura “libera”, spaziando da un brano all’altro di cd differenti, costringendoli ad “aggiustare” continuamente il volume di ascolto, cosa particolarmente sgradevole durante la guida dell’automobile.

Se l’utente non modificava il volume di ascolto, i brani dotati di un maggiore spazio dinamico (che venivano percepiti con un volume medio più basso) venivano penalizzati, apparendo più “scarni” nel confronto con altri che suonavano più forti.

Questa constatazione fu la molla decisiva che spinse vari produttori ed artisti ad esigere dai fonici una soluzione, ossia la compressione esasperata del master, spingendola a livelli sempre più elevati.

Il fenomeno proseguì anche con l’avvento dei player portatili e delle chiavette USB, diventando in pochi anni insostenibile e provocando le rimostranze di molti fonici e artisti, che sollecitavano la individuazione di uno standard di riferimento, capace di rispettare un po’ di più la qualità del suono, la musica e le sue dinamiche.

Conseguenze sull’audio

Dato che il livello sonoro di un file audio non può superare un certo limite (lo 0 db digitale), il volume complessivo può essere aumentato soltanto riducendo la gamma dinamica e successivamente “normalizzando il livello del brano” (portando quindi il picco massimo in corrispondenza del punto di massima tolleranza del campionamento digitale, cioè prossimo allo 0 db). 

Quanto sopra è stato quindi realizzato “comprimendo verso l’alto” e in maniera sempre più estrema la “dinamica”, col risultato di compromettere sempre di più i picchi e provocando distorsioni acustiche di varia natura e la quasi totale perdita della modulazione espressiva dinamica.

Effetti negativi

  • La musica con una ridotta gamma dinamica è risultata stressante e poco espressiva
  • La rasatura eccessiva dei picchi ha prodotto tanti “punti di rumore”, sempre più fitti e udibili quanto più risultava elevata la compressione, nei casi peggiori è come se si fosse creato un “rumore continuo di fondo di tipo ferroso”, simile al “rumore bianco”

Effetti positivi concreti

  • Maggiore fruibilità del contenuto sonoro durante l’ascolto in luoghi rumorosi

N.B.

Per anni i fonici sono stai obbligati ad “arrampicarsi sugli specchi” per assecondare le richieste dei committenti. 

Al fine di contenere al massimo i danni indotti dalla compressione esasperata, hanno così imparato ad ottimizzare al massimo i processi, anche per mezzo:

  • dell’utilizzo della compressione multibanda
  • dell’automazione “passo passo” dei valori di compressione, 
  • delle tecniche di compressione analogiche e valvolari (o digitali con emulazione dell’analogico), in modo da creare dei “muri di saturazione” più armonici.

Ma anche in tal modo sono stati prodotti dei “mostri sonori” che secondo il parere di molti risultano intollerabili.

Le soluzioni

Desideroso di porre fine alla guerra del volume, verso la fine degli anni 90 il sound engineer Bob Katz mise a punto un criterio denominato K-System.

K-System

Il K-System (Sistema di Katz Bob) è un protocollo per l’impostazione delle calibrazioni di mix e di monitor in uno studio audio.

Sebbene gli standard di loudness come EBU R128, come vedremo, siano più ampiamente utilizzati al giorno d’oggi utilizzando una scala in LUFS/dB, il K-System , che utilizza una scala in RMS/dB è tuttora un buon modo per regolare i livelli audio.

Tale sistema utilizza tre standard differenziati, conosciuti come K-20, K-14 e K-12.

Questi numeri esprimono in dB RMS l’ampiezza della gamma dinamica del brano, per cui ad ogni passo (da K-20 a K-12), la gamma dinamica resa disponibile diminuisce ed aumenta il loudness (inteso come volume medio percepito).

Il display “a etichetta” posto in cima alla scala del meter deve indicare il livello massimo previsto in funzione del target (20 dB o 14 dB o 12 dB) e, proprio come con la misurazione normale, corrisponde al segnale digitale a fondo scala.

Per funzionare egregiamente, il sistema prevede che il livello di ascolto del monitor deve essere calibrato attentamente, in modo che il suo livello percepibile, quando ci si trova sull’etichetta 0 dB del misuratore, corrisponda a 85 dB SPL.

La suddetta è infatti la condizione ideale di riferimento per effettuare un mixing e un mastering a K-20, a K-14 e a K-12. 

I misuratori del K-System mostrano contemporaneamente sia il livello di picco che quello RMS.

La parte superiore rossa dei meters è la zona di massima intensità.

Nella registrazione musicale, il livello RMS dovrebbe raggiungere la zona rossa solo nei passaggi più intensi, nei momenti culminanti, nei momenti di punta occasionali. 

Infatti, secondo la media dei risultati dei test effettuati dallo stesso Katz con  alcuni campioni di utenti, si è constatato che, se ti trovi sempre ad utilizzare la zona rossa, potresti sentire la necessità di diminuire il guadagno del monitor.

Ecco alcuni dettagli delle n.3 misurazioni:

K-12

Questo livello era stato pensato esclusivamente per il broadcasting radiofonico.

Con esso risulta che -12 dBFS = 0 VU = 85 dB SPL

L’headroom limitato a soli 12 dB spiega la sua esclusiva destinazione a materiale audio compresso da utilizzare soltanto per la trasmissione in etere (anche se successivamente lo si è utilizzato anche per la finalizzazione dei generi musicali più spinti, come la dance (specie quella elettronica) e un certo tipo di pop-music

K-14

Questo doveva costituire lo standard per la maggior parte delle registrazioni commerciali di tipo pop, create per l’ascolto domestico e privato in genere

I mix di musica pop sono esempi di materiale adatto al K-14, dove -14 dBFS = 0 VU = 85 dB SPL.

Il margine di headroom è di 14 dB

La scala K-14 è stata probabilmente la più utilizzata tra i tre standard

K-20

Questa scala offre la più ampia gamma dinamica disponibile tra i tre sistemi.

Essa era pensata principalmente per i grandi mix teatrali, i mix musicali dinamici, il cinema, il broadcasting televisivo, i mix di stili classici e tradizionali

Qualsiasi programma audio avente un’ampia gamma dinamica avrebbe dovuto essere allineato allo standard K-20

Con esso risulta che -20 dBFS = 0 VU = 85 dB SPL, con headroom di 20 dB 

Rappresentazione schematica della scala di loudness ideata da Bob Katz. Un buon riferimento alternativo per contrastare la loudness war, poi soppiantato dalla misurazione in LUFS in seguito alle norme sul broadcasting e all’avvento delle piattaforme di streaming. I n.3 punti più alti delle zone rosse (qui rappresentate in grigio scuro) sono allineati con il livello di 0 dB della scala digitale.

Per dirla breve, lo scopo era quello di stabilire l’ampiezza dinamica di riferimento per le varie tipologie di ascolto. Per anni alcuni fonici (pochi, in verità) si allinearono ai criteri proposti dall’Ingegner Katz, mentre la maggior parte di essi, incalzata dai produttori, continuava ad operare con il loudness “a manetta”.

LUFS

Nel frattempo, dall’anno 2006 in poi, gli istituti ITU ed EBU elaborarono progressivamente un protocollo finalizzato a limitare la guerra dinamica, definendo infine uno standard di misurazione con relativa unità di misura, che consentisse di analizzare al meglio il segnale audio interpretandolo soprattutto in ambito percettivo, al fine di produrre master con caratteristiche standard. 

L’unità di misura in questione si chiamava LKFS, poi ridefinita e ridenominata LUFS dalla Unione Europea di Radiodiffusione (EBU) nel documento EBU R128 del 2014.

Tale attuale sistema di misura permette di analizzare un audio file non più sulla base della scala RMS, bensì utilizzando un protocollo differente, avente un criterio di misura che alla base è molto simile all’RMS, ma con delle variabili aggiunte che tengono conto della percezione psico-acustica dell’utente medio.

L’acronimo LUFS  significa “unità di misura del volume relative al fondo scala”.

Si tratta, in origine, di uno standard di volume progettato per consentire la normalizzazione dei livelli audio per la trasmissione televisiva.

LUFS è standardizzato in un insieme di algoritmi finalizzati a misurare il volume del programma audio e il livello del suo “picco reale” (per approfondimenti si legga il documento ITU-R BS 1770 e successive modifiche introdotte tra il 2011 e il 2015).

I LUFS sono misurati in scala assoluta e corrispondono a un decibel (dB).

Il neonato sistema si perfezionò negli anni successivi, e lo standard di:

-23 LUFS (EBU)

si impose nei contesti di broadcasting, coinvolgendo (in parte) anche l’industria del cinema.

Il livello di:

-1 dBTP

divenne invece lo standard per il picco massimo del programma audio, garantendo in tal modo ampi margini per prevenire ogni rischio di clipping.

Ben presto lo standard divenne norma di legge, obbligando però in tal senso soltanto gli operatori del broadcasting.

L’industria discografica, invece, rispose facendo “orecchie da mercante” poiché nessun produttore vorrebbe pubblicare prodotti fonografici che suonino “più bassi” di quelli dei concorrenti.

La rivoluzione dello streaming

Occorreva quindi un nuovo elemento, così decisivo da dissuadere l’industria fonografica dal proseguire con la loudness war.

L’occasione arrivò col diffondersi delle piattaforme di streaming, fenomeno che già nel 2019 raggiunse una diffusione capillare in tutto il mondo, e quindi un potere enorme nel determinare l’imposizione “di fatto” di uno standard

Le piattaforme di streaming, ai fini di garantire una estrema omogeneità nell’ambito della riproduzione dell’audio, devono essere in grado di riprodurre in maniera sufficientemente corretta ogni genere musicale, dalla musica classica più rarefatta e delicata sino all’heavy metal più denso e intenso.

Tali piattaforme devono offrire:

  • un volume medio percepito sufficientemente costante di ascolto per tutti i brani del loro “catalogo”, pur essendo tali volumi estremamente eterogenei
  • una escursione dinamica accettabile, ai fini di un sufficiente rispetto della espressività musicale
  • un suono esente da distorsioni

Ciò ha favorito l’imposizione “di fatto” di alcuni standard di loudness con valori molto simili tra loro, ma al momento non identici per tutte le piattaforme.

Qualunque sia il loudness originale dei brani musicali presenti nelle piattaforme di streaming, essi subiranno sempre alcuni processi automatici di controllo e, se non rispondenti ai criteri standard imposti dalla specifica piattaforma di streaming, saranno automaticamente elaborati al fine di renderli adeguati ai valori di loudness richiesti.

A tal fine la piattaforma provvederà automaticamente a contenere il volume generale degli audio files aventi un loudness eccessivo, al fine di ottenere in ascolto un soddisfacente livellamento per tutti i brani del catalogo della piattaforma stessa.

E’ evidente che, considerato quanto sopra, inserire in tali piattaforme dei brani caratterizzati da una compressione eccessiva del file audio servirà soltanto ad appiattirne la dinamica intaccando altresì la purezza del suono, senza sortire alcun effetto reale sul loudness che sarà percepito dagli utenti in ascolto.

Ciò sta progressivamente scoraggiando i produttori dal proseguire con la insensata Guerra del Volume, indirizzandoli a produrre i loro masters con dinamiche più ampie e rilassate.

N.B.

Se da una parte è assicurata la riduzione del volume, dal lato opposto non è garantito il potenziamento dei files audio aventi un loudness inferiore allo standard. 

Di conseguenza sarà preferibile, in generale, conferire ai brani un leggero eccesso di loudness piuttosto che il contrario (ad esempio, posto che sia -14.0 lo standard per una specifica piattaforma, sarà consigliabile un loudness compreso tra -13.5 e -14.0 piuttosto che tra -14.0 e -14.5).

Le piattaforme di streaming al momento non sono perfettamente allineate secondo uno standard comune, bensì allo stato attuale spaziano tra i -13 LUFS (ad esempio YouTube, quella con la dinamica più compressa) e i -16,5 LUFS (ad esempio Apple Music, quella con la dinamica più estesa).

La tendenza sembrerebbe assestarsi intorno ad un possibile standard unico di -14 LUFS, che è quello proposto da Spotify, che al momento risulta essere la più importante piattaforma di streaming musicale del mondo.

Per tale motivo altre aziende di streaming “minori” tendono ad allinearsi con essa, favorendo ancor più l’affermazione definitiva di tale misura, che probabilmente diventerà lo standard unico e definitivo.

Per tale motivo i maggiori produttori di plugin destinati alla finalizzazione dinamica del master impostano di default ai livelli di -23 LUFS per il broadcasting e di -14 LUFS per lo streaming musicale, e in tal senso predispongono le utility del software, dotandolo spesso di un apposito indicatore di livello, contribuendo anch’essi alla affermazione di tale standard.

Ciò non esclude la possibilità di finalizzare plurimi masters specifici, con livelli di loudness differenti, per meglio adattarsi a ciascuna delle piattaforme di streaming.

Loudness di riferimento

Prima di operare in finalizzazione, per prima cosa occorre chiarire quali siano i n.3 tipi di misurazione in LUFS utili ai fini delle nostre analisi:

Momentary loudness meter

Similmente ai tradizionali Vu-meter analogici, esprime “in tempo reale” le oscillazioni del volume, imponendo una discreta inerzia reattiva (400 ms circa), ideale per una comoda “lettura” del livello.

Molto utile per visualizzare il livello dei picchi al fine di valutare l’opportunità di interventi più o meno marcati in ambito di limiting preliminare del mix

Short term loudness meter

Esprime il livello medio del suono, calcolato in un breve pattern di tempo, pari a circa 3 secondi.

Molto utile per seguire agevolmente e in maniera morbida l’andamento generale dei livelli audio

E’ caratterizzato da una velocità reattiva frenata, un po’ simile ai “temporary memory” di molti meters a led

Integrated loudness meter

Esprime il target vero e proprio, secondo i parametri di riferimento e quelli normativi EBU – ITU

N.B.

Nella revisione dello standard ITU-R BS.1770 è stato aggiunto il concetto di misura del “Loudness Gated”, che riduce in modo “intelligente” la misurazione delle pause esecutive e dei passaggi musicali aventi un livello particolarmente basso.

Un buon misuratore del loudness integrato terrà conto di questo parametro, al fine di non ottenere dei risultati fuori norma.

True Peak level

L’elaborazione audio digitale, anche a causa del limiting ultra-veloce e del clipping problematico, può produrre picchi inter-campione (inter-sample peaks).

N.B.

Il suo equivalente analogico, post conversione D/A, rivelerebbe un segnale più elevato del valore reale del campione, come ben chiarito dalla figura che segue. 

Un picco come questo è chiamato anche livello di picco reale (True Peak Level).

Secondo la qualità del convertitore D/A utilizzato in riproduzione, questi picchi potrebbero causare delle distorsioni udibili.

Naturalmente, sarà sempre meglio prevenire o ridurre al minimo i picchi inter-sample e allo stesso tempo assicurarsi che ogni picco audio, normale e inter-sample, rimanga “realmente” entro il massimo limite indistorto dello 0 db digitale.

Un buon plugin di finalizzazione dinamica per mastering dovrebbe essere dotato di una funzione di contenimento dei True Peaks (True Peak Limiting), conforme agli standard EBU R128 e ITU-R BS 1770.

Si noti che la misurazione del picco reale (TP) non è una scienza esatta: ci sono molti modi diversi per implementare la misurazione conforme a ITU-R BS 1770, che potrebbero offrire risultati leggermente diversi. 

Non sarà insolito, infatti, rilevare differenze di pochi decimi di dB TP tra diversi misuratori di true peak. 

Alti valori di sovra-campionamento, capacità di interagire in modalità “look-ahead” e elevata qualità generale del plugin potrebbero fornire garanzia di maggior precisione e  affidabilità nel contenere i true peaks.

Ricordiamo che le normative e le convenzioni del sistema impongono o suggeriscono di utilizzare un valore di attenuazione del True Peak uguale o inferiore a -1 LUFS; alcune piattaforme di streaming richiedono addirittura un valore di attenuazione TP di -2 db; nelle masterizzazioni commerciali per cd audio, invece, la regolazione del TP è consuetamente meno prudente, con valori di -0.5, -0.3, -0.2 db, il che espone il master a rischi di distorsione transitoria.

I meters di un completo sistema di misurazione in LUFS. A sinistra il classico meter di riferimento con 0 db digitale e al suo fianco la misurazione in db della riduzione di livello determinata dal limiter. A destra i 3 meters del sistema LUFS: short term (S), momentary (M) e integrated (I). In basso a sinistra il pulsante di abilitazione del True Pick e a destra la sua regolazione di livello (non ancora impostata al valore a norma di -1 dB).

I nuovi standards

Per tracciare una linea conclusiva, possiamo dire che giorno d’oggi la tendenza è di utilizzare i seguenti standard di riferimento in LUFS:

Audio Cd

  • -9 LUFS, con True Peak a -0.3 db – è lo standard più diffuso per la musica rock-pop e derivati, anche se purtroppo molti produttori forzano ancora lo standard, spingendosi a valori di -8 e -7 LUFS

N.B.

Personalmente, anche in questi casi è mia abitudine mantenere il TP a -1 db

Altri generi musicali più “espressivi”, anche per il CD tendono a scegliere invece soluzioni capaci di maggiore spazio dinamico:

  • -10 / -12 LUFS, con True Peak a -1 db – per i generi musicali moderni più espressivi, come la fusion, il jazz moderno, la musica leggera “colta” e alternativa, l’etno-pop (questa fascia di loudness sta conquistando gradualmente più produttori “alternativi” e mi auguro personalmente che possa diventare uno standard definitivo anche in ambito rock-pop
  • -15 /-23 LUFS, con True Peak a -1.0 db – per la musica popolare tradizionale, il jazz tradizionale e la musica classica (quella di approccio non strettamente purista)
  • dinamica non compressa, con True Peak a -1.0 db – per la musica popolare tradizionale, il jazz tradizionale e la musica classica (quella di approccio strettamente purista)

Rappresentazione schematica della dinamica utile e relativo livello di loudness utilizzati come standard nelle più consuete destinazioni d’uso. E’ evidente che, normalizzando a livelli prossimi allo 0 db, avremo poca dinamica utile e alto loudness. Senza alcuna compressione (a destra) la dinamica naturale, con espressioni dai 20 ai 50 db e oltre (secondo i casi), sarà completamente rispettata. Notare anche che il livello di normalizzazione per il Cd di Pop Music è generalmente impostato a valori di peak level di pochi decimali, senza il controllo del “circuito” di True Peak.

Streaming

  • lo standard attuale più diffuso, da considerarsi temporaneamente come riferimento, è di -14 LUFS, ma potrebbe assestarsi in futuro a -15 db o a -13 db
  • altri servizi di streaming oscillano al momento tra i -13 LUFS (YouTube) e i -16,5 LUFS (iTunes)
  • Tuttavia, per esigenze di sonorità, sono numerosi i casi in cui si finalizzi a livelli simili a quelli utilizzati per il CD, anche se le piattaforme penalizzeranno automaticamente tali livelli per farli collimare con gli standards previsti dalle loro norme di pubblicazione

Broadcasting e Cinema

  • lo standard è -23 LUFS con True Peak a -1.0 db, che per il broadcasting è anche una norma di legge vincolante

per il cinema si rilevano oscillazioni di rilievo, tra -27 e -21 LUFS (con uno short term loudness sino a -6 LUFS)


Per approfondimenti sull’Audio Mastering Digitale

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